corsa salto

Martina Caironi Alzano Lombardo (Bergamo), classe 1989

Investita da un’auto mentre torna da una festa in motorino, perde la gamba sinistra all’altezza del femore a soli 17 anni. È medaglia d’oro nei 100 metri alle Paralimpiadi di Londra 2012 e tre anni dopo, ai Mondiali di Doha, conquista un nuovo record del mondo nella sua categoria, scendendo per la prima volta al di sotto dei 15 secondi

Investita da un’auto mentre torna da una festa in motorino, perde la gamba sinistra all’altezza del femore a soli 17 anni. È medaglia d’oro nei 100 metri alle Paralimpiadi di Londra 2012 e tre anni dopo, ai Mondiali di Doha, conquista un nuovo record del mondo nella sua categoria, scendendo per la prima volta al di sotto dei 15 secondi

La variabile x, la svolta nella mia vita, è avvenuta la notte tra l’1 e il 2 novembre del 2007, quando stavo tornando da una festa in motorino e sono stata investita da una macchina, che mi ha schiacciato la gamba sinistra, a cui è seguita l’amputazione a livello del ginocchio sinistro, quindi io non ho più l’articolazione, e da quel momento è iniziata una nuova parte della mia vita, una nuova sfida, un nuovo fisico, anche se in realtà la “Marti” era sempre la stessa. Quindi da lì ho ricominciato a camminare piano piano, i primi passi, e poi non mi sono più accontentata di quello che avevo raggiunto e ho cominciato a volere sempre di più. E appunto nei corridoi del Centro Protesi Inail, dove ho fatto la prima protesi, mi sono lasciata ispirare da queste fotografie di atleti che erano abili, forti, muscolosi e con queste protesi che io non avevo mai visto prima. […] E dunque una cosa tira l’altra, mi è stata data la prima protesi nel 2010 e subito ho iniziato a gareggiare, scoprendomi un’atleta che aveva delle potenzialità nascoste, tant’è che la prima gara è stato un record italiano nei 100 metri e poi già dalle prime gare internazionali si è visto che il mio fisico era portato proprio per questa cosa: fibre nervose e anche la passione che poi è arrivata. Quella non è il fisico ma è il cuore – diciamo – che la manda.

L’incidente. Del giorno del mio incidente, più che altro della notte, ricordo la dinamica, quindi come è successo, le frasi che ha detto prima mio fratello, che guidava, e l’impatto. Ricordo questi fari che si sono accesi, questi abbaglianti che si sono accesi poco prima dell’impatto, e che mi hanno anche perseguitato per un po’ di anni […]. E poi ricordo, sì, di aver chiamato i miei genitori, mio papà, e di aver subito sentito un gran dolore alla gamba, mio fratello mi rassicurava dicendomi: «È una frattura scomposta», che in effetti poi non era, era qualcosa di più grave. E dopo quattro giorni mi è stata amputata la gamba e io l’ho saputo però solo – mi sembra – un paio di settimane dopo, quando mi sono risvegliata da questo coma indotto e mi è stata comunicata questa notizia, che avrebbe appunto poi cambiato la mia vita per sempre. Ricordo che non è stato proprio un bel momento, però ero anche talmente piena di farmaci che l’ho realizzato, ma non ero così cosciente. Quindi l’accettazione è arrivata molto gradualmente ed è stata l’unica opzione che avevo per poter tornare a vivere: accettare quello che era successo e da lì lavorare per fare qualcosa di buono della mia vita.

L’incontro con Oscar Pistorius. Nel 2008 a “Bergamo Scienza” era venuto Oscar Pistorius […]. Io ero andata alla conferenza, l’avevo sentito parlare, ci avevo fatto goffamente due chiacchere e poi ho letto il suo libro. E nel suo libro ho trovato alcune risposte e tanta ammirazione, e sinceramente mi sono molto ispirata alla sua storia, perché ho visto in lui una normalità, una vita bella e anzi eccezionale nella normalità – diciamo – ed era proprio quello che avrei voluto io. […] E poi questa relazione mentale che avevo io con lui è continuata nel tempo, nel senso che io l’ho visto in più occasioni e il culmine è stato a Londra, che poi è stata l’ultima volta che l’ho visto, la sera della mia finale; dopo che io avevo vinto quest’oro olimpico, siamo capitati sullo stesso pulmino per il rientro al Villaggio olimpico e aveva vinto anche lui ed è stato un momento bellissimo, perché abbiamo chiacchierato io e lui e basta, e forse c’era anche un medico, però era una cerchia ristretta, e io ero lì con la persona che mi aveva ispirato più di tutti. Quindi quando è successo il 14 febbraio del 2013 questo fatto di cronaca nera che lo riguarda, per me è stato un duro colpo: io ricordo di aver pianto, perché era proprio come se la statua si fosse frantumata. Però l’Oscar Pistorius atleta rimarrà comunque sempre per me quel forte stimolo che mi ha dato l’input, e tra l’altro so che non solo a me lo ha dato. Quindi io quel giorno lì ho preso un testimone in mano e lo sto portando avanti tuttora per essere d’esempio alle persone che sono all’inizio, come lo ero io un po’ anni fa.

In quei tre anni ho davvero capito, ho sofferto molto e ho capito anche come affrontare gli sguardi della gente, quindi c’è stata una trasformazione dalla sofferenza, alla rabbia, all’indifferenza

I primi tre anni dopo l’incidente. Tra il 2007 e il 2010 io ricordo un grande percorso di risalita, in cui pian piano mi sono confrontata con la mia nuova condizione, quindi dai primi ostacoli fisici delle scale con le stampelle, all’accettare il fatto che io per tutta la vita io avrei dovuto portare una protesi e che probabilmente non avrei mai più potuto giocare a pallavolo, questo è stato durissimo, per esempio. Poi accettare il mio corpo di giovane donna amputata, che comunque non potevo più essere la classica ragazza giovane e bella canonicamente, e ho dovuto reinventarmi anche delle categorie mentali, perché poi sta tutto nella testa. La bellezza, per esempio, te la possono descrivere in tanti modi, possono darti tanti modelli ma poi la fai un po’ tu, almeno io in questo momento sento che sia così. E in quei tre anni ho davvero capito, ho sofferto molto e ho capito anche come affrontare gli sguardi della gente, quindi c’è stata una trasformazione dalla sofferenza, alla rabbia, all’indifferenza. E poi che cosa ho fatto? Ho fatto una maturità perché ero alle superiori, ho preso la mia prima macchina con il cambio automatico, quindi non sono dovuta passare da cambio manuale a cambio automatico, ma era la mia prima macchina. Poi ho fatto tante altre cose. Però sostanzialmente sono cresciuta in fretta, perché quando ho avuto l’incidente io avevo 18 anni appena compiuti e prima che arrivasse lo sport io avevo 21 anni, quindi in quei tre anni lì ho fatto un po’ di sintesi mentale su quello che era successo. E poi è arrivato lo sport.

Come nasce un’atleta. Quando io ho iniziato con l’atletica già venivo chiamata atleta, però io non mi ci sentivo, perché per essere un’atleta devi arrivarci gradualmente, devi sentirlo dentro e devi avere un certo stile di vita e anche una certa continuità con gli allenamenti. Quindi i primi anni non mi allenavo tanto, perché non ero pronta sia mentalmente che fisicamente, quindi ci sono arrivata abbastanza gradualmente, con uno o due allenamenti a settimana e anche con tanta riflessione su alcune rinunce che piano piano dovevo fare, perché se esci tutte le sere, la mattina forse non ti alleni molto bene. Per essere un’atleta al 100% solo tu sai quello che il tuo fisico richiede e quindi se ha bisogno di riposo glielo devi dare, devi ascoltare il tuo corpo quando ti dice che è stanco. E lo sport ti dà anche questo, perché ti aiuta ad avere una consapevolezza di te, proprio del tuo fisico, del tuo corpo, che cresce sempre di più, perché fai sempre più esercizi, capisci qual è il tuo limite, capisci quando ci stai vicino e quando l’hai superato rimani in stampelle per due settimane.

Londra 2012. Il vero punto di non ritorno, positivo ovviamente, è stata Londra, perché quando vinci una medaglia olimpica tutto cambia. Tutti ti vogliono e tu stessa ti rendi conto […] di aver fatto un’azione che rimarrà nella storia, perché un’Olimpiade è storia, una Paralimpiade è storia. Quindi da Londra in poi ho cominciato a sentirmi quello che la gente appunto dice: campionessa, no? E pian piano ho capito la responsabilità che ne derivava, quindi mantenere il livello perché è dal 2012 che sui 100 metri sono io a dettare un po’ le regole del gioco, perché continuo ad abbassare questi secondi: adesso sono a 14 e 61, che è un obiettivo che tre anni fa davvero non mi sarei aspettata di poter raggiungere. Addirittura a Londra, nella finale olimpica, io ero sui 15 e 87, quindi più di un secondo rispetto ad ora. E adesso che sono entrata in questo ruolo me lo tengo stretto finché posso.

A Doha ho battuto il muro dei 15 secondi. E i miei coach in questi anni mi hanno sempre detto che la velocità inizia sotto i 15 secondi, quindi finalmente adesso sono veloce

Sotto il muro del 15 secondi. Dopo la citatissima finale olimpica, per non essere scontata, potrei parlare di questa finale, l’ultima, a Doha. Penso davvero che sia stata una delle più belle e infatti si vede anche nell’esultanza finale che sono al settimo cielo, proprio perché ho battuto il muro dei 15 secondi. E i miei coach in questi anni mi hanno sempre detto che la velocità inizia sotto i 15 secondi, quindi finalmente adesso sono veloce.

La felicità è… In questi anni mi sono successe tantissime cose, ho un armadio pieno di riconoscimenti, premi presi in tutta Italia, e ho conosciuto tantissime persone: da ex atleti, atleti ancora in carriera, chi mi hanno dato consigli, come per esempio Pietro Mennea, che ho conosciuto a Torino, […] comunque poco prima che ci lui lasciasse. Ricordo che eravamo sullo stesso palco a parlare e lui mi disse: «Allenati sui 60». Perché io sono velocista e lui appunto aveva questa tecnica di fare tantissime ripetute sui 60 metri, vabbè poi lui era uno stakanovista degli allenamenti, quindi mi ha dato ancora un consiglio tutto sommato soft e devo dire che l’ho applicato negli allenamenti. Poi ce ne sono tantissime di esperienze che ho fatto come anche nelle scuole, avere a che fare con i bambini dai più piccoli che ti fanno delle domande assurde, come per esempio: «Dove è finita la gamba che ti hanno tagliato?». Si immaginavano questi cimiteri di gambe, scusate se è un po’ noir questo racconto. Oppure il ragazzino che ti guarda e ti chiede: «Ma tu sei felice?». E tu dici: «Cavoli, me lo sta chiedendo un ragazzino con questa semplicità». E ti fermi a riflettere e dici: «Beh, in effetti sì. Perché no?».

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Caironi
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Martina Caironi

Il medagliere

  • 2012 Paralimpiadi di Londra Atletica - 100m femminile T42