Corsa fondo handbike

Francesca Porcellato Castelfranco Veneto, classe 1970

Disabile per via di un incidente all’età di 18 mesi, nella sua lunga carriera sportiva si è cimentata in tre diverse discipline estive e invernali: atletica leggera con distanze che vanno dai 100 metri alla maratona, sci di fondo e handbike. Da Seul ’88 ha partecipato a nove edizioni delle Paralimpiadi vincendo undici medaglie: tre ori, tre argenti e cinque bronzi

Disabile per via di un incidente all’età di 18 mesi, nella sua lunga carriera sportiva si è cimentata in tre diverse discipline estive e invernali: atletica leggera con distanze che vanno dai 100 metri alla maratona, sci di fondo e handbike. Da Seul ’88 ha partecipato a nove edizioni delle Paralimpiadi vincendo undici medaglie: tre ori, tre argenti e cinque bronzi

La mia storia è iniziata tanti anni fa, diremo quasi quando sono nata io, perché ho avuto un incidente automobilistico all’età di 18 mesi. Sono stata investita nel cortile di casa da un camion e da allora ho riportato una lesione midollare che mi fa muovere su una sedia a rotelle. All’inizio della riabilitazione mi facevano camminare con dei tutori e un carrellino da spingere e solo all’età di sei anni mi hanno dato la mia prima carrozzina, che per me è significato libertà. E quando io sono salita sulla carrozzina per la prima volta […] mi è sorto subito un desiderio di farla correre veloce veloce. […] E da lì è nato questo sogno di una bambina di diventare un’atleta e ci ho creduto, perché quando tornavo a casa da scuola, dopo i compiti o prima, qualche volta dovevo fare delle corse con la carrozzina. E all’età di 16 anni ho conosciuto una società sportiva per atleti con disabilità e ho iniziato la mia avventura.

All’età di sei anni mi hanno dato la mia prima carrozzina, che per me è significato libertà. E quando io sono salita sulla carrozzina per la prima volta mi è sorto subito un desiderio di farla correre veloce veloce

Voglio essere un’atleta. Negli anni Ottanta la disabilità veniva vista come un tabù e chi aveva una disabilità non poteva condurre una vita normale, si pensava, si credeva. […] Tanto che a sei anni, quando mi hanno dato la mia prima carrozzina, c’era la gara del paese, allora avevo chiesto di essere iscritta, mi avevano detto: «Non puoi, sei in carrozzina. Tutti corrono a piedi». Io dicevo: «Vabbè, io corro con la mia carrozzina, non c’è nessun problema». Ma loro avevano già i capelli irti in testa, perché dicevo una cosa impossibile. […] E poi dicevano: «Arriverai ultima». «Non importa, io voglio correre, voglio essere un’atleta». Tanto che un amico di famiglia poi aveva preso una medaglia e me l’aveva portata come regalo perché si era dispiaciuto che non mi avevano fatto correre. Io la rifiutai e dissi: «No, no, io la medaglia la voglio vincere, la voglio vincere con le mie braccia, non la voglio regalata». E poi me ne sono fatta di regali.

L’inizio dell’avventura sportiva. Ho dimostrato subito di aver dei numeri, perché comunque l’allenamento che avevo fatto, la determinazione, la testardaggine che avevo avuto in tutti quegli anni ad aspettare di conoscere, perché io sapevo che c’erano degli atleti disabili che facevano attività sportiva, solo che non esisteva Internet, i mass media non ne parlavano, ogni tanto c’era una notizia che usciva, però poi spariva subito. Quando io sono approdata alla società sportiva ero già preparata, ero già allenata, ho dovuto solo affinare l’allenamento e mi sono qualificata – diremo – anche facilmente a queste Olimpiadi, forse è stata la qualifica un po’ più semplice, proprio per il lavoro che avevo fatto e la determinazione che ci avevo messo nel voler realizzare questo sogno.

La qualificazione. Mi ricordo che è stata una giornata veramente difficile: […] era maggio ed era tempo di verifiche, e io quel giorno a scuola avevo un sacco di verifiche che dovevo fare per forza, non potevo saltare. Sono arrivata nel campo di gara molto tesa perché avevo avuto quattro verifiche e un’interrogazione, cioè ogni ora avevo avuto un test e al pomeriggio avevo veramente l’adrenalina a mille. E pensavo che avrei fatto veramente un buco nell’acqua. E invece ho fatto un 400 metri e ricordo che a metà guardavo la pista e la vedevo scorrere veloce e dicevo: «Non sarò mica io?». […] Conclusi con il record italiano e il limite per la partecipazione alle Olimpiadi. […] Al momento che sono usciti i risultati ufficiali, sono scoppiata in un pianto a dirotto, forse la tensione della mattina e la gioia che il sogno [si] era veramente realizzato.

La prima maratona. In atletica ho iniziato facendo dai 100 ai 400 metri e poi ho allungato sempre di più e sono arrivata alla maratona. Alla maratona ci sono arrivata con una scommessa con il mio compagno che è anche il mio allenatore, perché stavo preparando le Paralimpiadi di Barcellona e gli dissi che la pista mi stava iniziando a essere stretta e io volevo provare l’ebrezza di una maratona. Il che mi dissero che non era proprio così semplice: da 400 metri massimo, dovevo passare a 42 chilometri, che erano ben diversi. Però a me lavorare non fa paura e la fatica non mi fa paura. E dissi: «No, no, ma proviamo». E allora per non farmi fare questa cosa mi disse: «Guarda…». Siccome all’epoca le speranze di una medaglia alle Paralimpiadi di Barcellona erano veramente basse, perché c’era stato un cambio di categorie e avevano cambiato il sistema di classificazione e io ero un po’ svantaggiata, mi disse: «Se vinci una medaglia alle Paralimpiadi di Barcellona, ok ti preparo per la maratona». E io nei 400 metri ho sfoderato la più bella gara che avessi fatto mai fino ad allora e presi il bronzo. Una cosa inaspettata, bellissima, il giorno del mio compleanno, mi sono fatta un grandissimo regalo. E sì il giorno del mio compleanno mi faccio sempre dei grandi regali: ho fatto il bronzo nei 400 metri a Barcellona e poi tanti anni dopo, il giorno del mio secondo compleanno, che è il giorno del mio incidente, il 21 marzo, ho vinto l’oro a Vancouver con lo sci di fondo. Dunque il mio compleanno porta fortuna.

La seconda vita di Francesca. Il mio secondo compleanno perché l’incidente è stato veramente brutale, nel senso che un camion contro una bimba di 18 mesi, ho rischiato veramente grosso. Mi ha rotto praticamente tutto: a parte la testa e le braccia, il resto era tutto rotto. Però sono stata più forte io perché sono qua a raccontarla ’sta storia. Sono sopravvissuta, avevo rotto tutto, però non avevo lesioni interne. Sono stata all’ospedale tantissimo tempo, però sono stata più forte io perché sono riuscita a realizzare una bella vita, a realizzare i miei sogni, e dunque è il mio secondo compleanno. Sono nata la seconda volta.

Un’atleta per tutte le stagioni. Nelle mie passate nove edizioni, sei estive e tre invernali, ho collezionato dieci medaglie estive e una invernale e sono stata tra le prime atlete, se non la prima, a vincere l’oro sia all’Olimpiade estiva che a quella invernale. A me i record non interessano molto, mi piace far le cose, che dopo siano record o no non importa. L’importante è mettere nel cassetto e realizzare quello per cui ho lavorato.

Quella volta andando a Seul. Non siamo stati sempre così. Il movimento paralimpico non è stato sempre così […]. E noi atleti stessi abbiamo dovuto passare veramente per dei momenti difficili, perché noi ci sentiamo atleti, siamo degli atleti, siamo solo seduti, io seduta ma qualcun altro in altra maniera, però comunque facciamo delle grandissime prestazioni, ci alleniamo veramente tanto e la gente non lo capisce, perché non gli è stato insegnato, non gli è stato spiegato. Tanti anni fa a Seul, nel 1988, era una data storica per il movimento paralimpico, perché per la prima volta le Paralimpiadi venivano svolte negli stessi siti delle Olimpiadi, dunque stesso villaggio, stessi campi sportivi. E per noi era un grandissimo riconoscimento. Dunque, quando ci siamo presentati all’aeroporto, pronti, tutti in divisa, tutti veramente “inpettoriti”, perché stavamo partendo per questa nuova avventura, ci sembrava che tutti dovessero sapere che Seul erano Paralimpiadi di Seul e noi andavamo a gareggiare per vincere delle medaglie. E dunque ci siamo fermati in un bel gruppetto al bar a prendere l’ultimo caffè, come facciamo noi italiani, […] al che abbiamo attirato attenzione delle persone, perché eravamo vestiti tutti azzurri con scritto “Italia” e ci hanno chiesto dove stavamo andando. E noi non abbiamo detto «Paralimpiadi di Seul», abbiamo detto: «Andiamo a Seul». E in risposta abbiamo ricevuto: «Ma che santuario c’è a Seul?».

Handbike: l’inizio di un’avventura. All’inizio non mi piaceva tantissimo, perché questa posizione sdraiata mi dava il senso che vedevo poco, avevo poca visuale e m’intimoriva un po’ stare sulla strada […]. Ma a tutto si fa abitudine e mai dire mai. Ci sono stata sopra 15 giorni, ho stretto i denti per 15 giorni, al sedicesimo giorno mi ero già innamorata di questo nuovo mezzo perché era da scoprire come funzionava, come farlo andare veloce, eccetera. E l’ho fatto per alcuni anni, finivo la stagione invernale, salivo sull’handbike ma giocherellavo. Quando a Sochi – l’ultima Paralimpiadi invernale – ho chiuso, avevo già deciso prima di partire che sarebbe stata la mia ultima Paralimpiade, mi era già stato chiesto di salire e fare seriamente l’handbike, ma io l’avevo sempre allontanata questa idea. Perché dicevo: «Dai, la terza disciplina…». Però, avendo il tempo libero e più tempo da dedicarci, visto che mi piaceva, ci ho provato e l’anno scorso è andata benissimo, sono salita a gennaio seriamente con la bici messa a puntino per dire: «Ok, lo faccio seria, mi alleno seriamente», a giugno ho vinto la mia prima tappa di Coppa del mondo e a luglio ho vinto due ori ai Mondiali, il che devo dire che non ci credevo.

Lo sport mi ha insegnato ad abbattere tutti i limiti, a tentare sempre, crederci sempre, a cadere ma rialzarmi

L’importanza dello sport. Nella mia vita lo sport rappresenta una grande fetta ed è importantissimo perché comunque era il sogno da bambina che poi ho realizzato da adolescente, nel migliore dei modi perché ho fatto tantissime cose. Ho incontrato l’amore, il mio allenatore è anche il mio compagno e dunque rappresenta tanto. Ma poi è diventata la mia professione. Al di là di queste cose è stato molto importante anche proprio per la mia formazione come persona: mi ha insegnato ad abbattere tutti i limiti, a tentare sempre, crederci sempre, a cadere ma rialzarmi […]. La cosa bella che mi piace tanto dello sport è che mi ha fatto andare in giro, conoscere tantissima gente, portare la disabilità a conoscenza di queste persone che mai l’avrebbero conosciuta altrimenti. Non solo io, ma anche gli altri ragazzi che fanno le cose come me. E questo è importante perché stiamo facendo cultura, facendo vedere proprio con l’esempio che della disabilità non bisogna averne paura, l’importante è conoscerla. E poi dare speranza a chi purtroppo una disabilità la acquisisce che la vita non finisce, ma continua e con la buona qualità.

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Porcellato
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Francesca Porcellato

Il medagliere

  • 1988 Paralimpiadi di Seul Atletica - 100 m 2 femminile
  • 1988 Paralimpiadi di Seul Atletica - Staffetta 4x100m 2-6 femminile
  • 2010 Paralimpiadi di Vancouver Sci nordico - Gara 1 km Sprint sitting femminile
  • 1988 Paralimpiadi di Seul Atletica - 200 m 2 femminile
  • 2004 Paralimpiadi di Atene Atletica - 100 m T53 femminile
  • 2004 Paralimpiadi di Atene Atletica - 800 m T53 femminile
  • 1988 Paralimpiadi di Seul Atletica - Staffetta 4x200m 2-6 femminile
  • 1988 Paralimpiadi di Seul Atletica - Staffetta 4x400m 2-6 femminile
  • 1992 Paralimpiadi di Atene Atletica - 400 m TW3 femminile
  • 2000 Paralimpiadi di Sydney Atletica - 100 m T53 femminile
  • 2004 Paralimpiadi di Atene Atletica - 400 m T53 femminile