Approda sul litorale romano nel 1957, all’età di 25 anni. Originario di Macerata, rimane infortunato mentre lavora come elettromeccanico tornitore nella ditta del padre. Nel 1960 partecipa alle Paralimpiadi di Roma dove conquista un oro, un argento e un bronzo, rispettivamente nel tennistavolo doppio, nella sciabola a squadre e nei 50m dorso. Nel 2006 è tedoforo ai Giochi paralimpici invernali di Torino
Avevamo un’officina elettromeccanica, lavoravamo io, papà e alcuni operai. Si lavorava: impianti d’irrigazione, le parti elettriche, centrali, alternatori. Facevamo un po’ di tutto, si lavorava tanto, notte e giorno. Lì in officina mi è successo un incidente: io sono caduto in un pozzo perché montavamo le pompe per tirare fuori l’acqua. Da cretini, sai, da ragazzi. C’erano tutte le sicurezze, sei giovane, sei spavaldo, le sicurezze non te le metti e sono andato giù.
Quando ho avuto l’infortunio, son caduto, c’erano gli operai con me, fortunatamente non sono svenuto, perché altrimenti non li potevo chiamare. Mi hanno tirato fuori e mi hanno portato all'ospedale, tutto qua. Ho avuto la frattura di una vertebra, la lesione del midollo spinale e da lì sono rimasto sulla sedia. La gioventù… «ma sì ci vado, metto un piede qua e un piede là…», non è vero niente. La gioventù è spavalda.
Mi hanno messo in una macchina e lì mi hanno finito di rovinare, […] perché si dovrebbe stare sdraiati, previdenti. L’accortezza non c’è stata. E quando sono arrivato in ospedale c’era la frattura.
La carrozzina. Ma non l’ho capito subito, cioè ti sei infortunato, eri a letto, aspettavi un mese, 40 giorni, che si calcificasse la spina dorsale, le vertebre e le fratture che avevi avuto. Non l’ho capito subito. L’ho capito dopo un bel po’, quando il dottore mi ha messo vicino la sedia a ruote e mi ha detto: «Questa è la tua vita». Lì ho cominciato a capire. Poi sono andato al Rizzoli, erano specialisti; ho fatto un po’ di mesi al Rizzoli, poi a Cortina d’Ampezzo. C’era un istituto che si chiamava il Putti, ce n’erano due: il Codivilla e il Putti. Il Putti era specializzato per i mielolesi. Sono stato lì un mese, mi mettevano fuori, all'aperto, quando c’era il sole perché faceva bene. Poi sono venuto qua al Centro Paraplegici, che apriva nel ’56-’57 per i mielolesi. Io sono entrato, eravamo i primi che entravamo. Sai, le fratture quando ci sono non le risolve nessuno, almeno per ora, poi dopo un domani chissà se metteranno qualcosa: un ponte, i transistor, l’elettronica, i telefonini…
La vita ricomincia. Se pensi che ci dovevo rimanere quel giorno lì sotto! Sono rinato. Io ho fatto una vita, ma tuttora la faccio, la vita bella. Se stai con noi quando andiamo in giro, vedrai, impazzisci, siamo un po’ matti ancora. La vita bella. Stavamo bene, ci divertivamo, uscivamo tutte le sere a mangiare e a ritrovarci con gli amici. Ci divertivamo come pazzi. Abbiamo cominciato subito a fare sport. Nel ’57 ho iniziato a fare sport: pallacanestro, scherma, ping pong. Ho cominciato a fare le gare, ho cominciato ad andare all'estero e ho continuato più o meno fino all’80. Potevo anche continuare qualche annetto, però c’erano i ragazzi giovani: «Vai, esci!». Già ti spingevano da una parte, ti cacciavano: allora andiamo, facciamo entrare loro.
La vita ricomincia. Se pensi che ci dovevo rimanere quel giorno lì sotto! Sono rinato. Io ho fatto una vita, ma tuttora la faccio, la vita bella. Se stai con noi quando andiamo in giro, vedrai, impazzisci, siamo un po’ matti ancora.
Mi sono fidanzato qui, subito, ero giovanotto, poi mi sono sposato. Fidanzato, sposato. Ho vissuto 50 anni con mia moglie e poi purtroppo l’ho perduta con un brutto male e adesso io continuo a vivere. Se ti fermi e ti metti da una parte, diventi pietoso, non ti guarda nessuno e non ti pensa nessuno, se ne fregano, ti lasciano crepare lì: la vita è questa.
L'arrivo a Ostia. A Trento è venuto un dottore, con una suora mi sembra, dice: «Stanno aprendo nuovo centro a Ostia per mielolesi, chi è che vuole andare?». Io ho alzato subito la mano: «Voglio andare io». Perché mi avvicinavo un po’. Dico: «Io a Roma ho dei parenti, una zia, una cugina, tutti. Vado subito a Roma». Si chiamava "Villa Marina", arrivavano tutti i mielolesi di tutte le parti d’Italia. Con un po’ di tempo, sei mesi non so, si è riempito, ma noi eravamo in tre che venivano da là con l’ambulanza e ci hanno ha portato qui. Ci eravamo un po’ ripresi, diciamo curati, già subito le carrozzelle e via. Andavamo in giro a vedere, io andavo sempre al cinema, non stavo mai fermo. Mi cercavano pure e qualche sera mi chiudevano anche fuori.
Lo sport e le gare. C’era la previsione di andare all'estero, di prendere l’aereo, di viaggiare. Si faceva anche sport, ti impegnava, così almeno vai a spasso e prendi l’aeroplano. Non l’avevo mai preso l’aeroplano, era la prima volta. «Andiamo all’estero». Si andava. Ma poi eri impegnato, ti stancavi, andavi su a mangiare, certe mangiate, ci mangiavamo tutto! Poi si è continuato, negli anni, si è continuato, io ho sempre continuato a fare sport, con lo sport ho girato il mondo. Ogni anno c’erano sempre i campionati. Si usciva e quando eravamo impegnati con le gare, andavamo in giro per le città a divertirci, che andavamo a riposare?
Sono entrato nel ’57 e sono stato fino al 1960. Perché io già come sono entrato mi sono fatto la ragazzetta e nel ’60 sono andato via e ci siamo messi insieme. Poi dopo ci siamo sposati, abbiamo preso casa al Lungomare e sono venuto via. E lì non stavo più al CPO, però andavo a fare gli allenamenti, continuavo lo sport, essendo esterno. […]
Però da esterno continuavo sempre ad andare.
Gli allenamenti. Bisognava allenarsi per avere risultati, non è che i risultati andavi lì e li prendevi così, non ti faceva vincere nessuno. Dovevi essere allenato, dovevi impegnarti, dovevi essere con tanta grinta sennò la medaglietta la prendevi di carta. Andavano i più bravi, i più allenati, quelli che avevano probabilità di vincere, gli altri rimanevano a casa. Chi non faceva sport, chi non si allenava, chi non dava risultati non veniva fuori a fare le Olimpiadi, non gareggiava mica. Noi ci allenavamo, nel ’58 sono stato già a Londra a fare le prime gare, ero già allenato. Venivano anche dei professori ad allenarci, c’era un professore di scherma, c’era un professore di pallacanestro e diceva: “questo è da portare fuori, questo è bravo, quello è somaro lo lasciamo a casa”.
Il tedoforo. Tutte le Olimpiadi sono state meravigliose, belle. Ci divertivamo, noi correvamo appresso a tutti. Ci sono delle Olimpiadi in cui io sono andato in bianco, non ho portato a casa niente. Però quando si prendeva qualche medaglia, la soddisfazione era tanta. Una delle più belle, per esempio, è che io ho vinto il primo posto al biliardo. Nel 2006 mi ha contattato l’organizzazione di Torino che stavano organizzando i Giochi invernali per disabili. Mi hanno dato l’incarico di fare il tedoforo e allora ho fatto il tedoforo a Torino, ho acceso il tripode, ho acceso la fiaccola, l’ho accesa io e una bambina cieca. Io e lei insieme abbiamo acceso il braciere, che iniziava le Olimpiadi invernali. La fiamma olimpica.
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