Dopo l’incidente che nel 2001 gli ha portato via le gambe, Zanardi riprende la carriera di pilota. Ma scopre l’handbike e dalla maratona di New York 2007 in poi la carriera nel paraciclismo è una <em>escalation</em> di successi. Il culmine sono le Paralimpiadi di Londra, dove conquista due ori, rispettivamente nelle gare a cronometro e su strada, e un argento nella staffetta a squadre mista
La mia passione per l’handbike nasce in un modo abbastanza casuale, perché un giorno stavo rientrando verso casa, e mi ritrovai a “sfidare” un altro automobilista per lo stesso parcheggio, perché entrambi lo avevamo puntato. Alla guida di quell’auto c’era Vittorio Podestà. Lui mi riconobbe e poi iniziammo a chiacchierare. Fui incuriosito molto da quello strano aggeggio che aveva agganciato sopra la macchina, e lui mi spiegò di che cosa si trattava, cioè di questa handbike, del fatto che lui stava facendo attività, che in quel momento stava andando in Spagna per preparare la sua stagione agonistica, eccetera, eccetera. E ci lasciammo scambiandoci i numeri di telefono, con qualche cosa che, metaforicamente, può essere considerato il primo mattone, perché era effettivamente già nato qualche cosa, al di là di questa bella sintonia con uno ragazzo che oggi, oltre a essere un compagno di Nazionale, è anche naturalmente diventato un amico […]. Quindi, qualche tempo dopo quando m’inventai, in modo assolutamente casuale, di fare la maratona di New York, chiamai Vittorio per sapere dove potevo trovare un mezzo del genere e soprattutto perché avevo bisogno un po’ di un mentore, di qualcuno che mi aiutasse a recuperare terreno. Vittorio è stato il mio corso accelerato e poi è un simpaticissimo e affettuoso, mi verrebbe da dire, compagno di avventura.
Agli occhi di tanti sembrava un po’ il campionato del campanaro, sagrestano e la perpetua, cioè la gara della parrocchia. Mi dicevano: «Ma come? Tu lasci quel mondo dorato per andare a fare quella roba lì?»
Una scelta ponderata. In quel periodo […] correvo a livello professionistico, con un marchio ufficiale come Bmw, […] nel campionato del mondo velocità turismo, con grandi soddisfazioni perché io nello sport sono diventato il primo atleta disabile a imporsi in una manifestazione iridata contro piloti professionisti normodotati. […] Eppure quando nacque questa passione per l’handbike, arrivai a dover fare una scelta […]. Agli occhi di tanti sembrava un po’ il campionato del campanaro, sagrestano e la perpetua, cioè la gara della parrocchia. Mi dicevano: «Ma come? Ma tu lasci quel mondo dorato per andare a fare quella roba lì?». Invece per gli addetti ai lavori di questo mondo, probabilmente, sembrava anche un po’ una spacconata, come dire: «Ma questo adesso pensa che basta dar due colpi di pedale, viene qui e ci mette in riga tutti. Lui non ha mica idea di quanto noi abbiamo sudato per arrivare sin qui».
Verso una nuova avventura. Io registravo queste cose, però sai io credo che sia importante nella vita fare la propria strada. E questa era quella che il mio cuore mi spingeva a scegliere. Per cui ho sincronizzato il mio cervello su quello che c’era da fare per trarre il meglio dalla scelta che avevo fatto, per viverla al meglio delle mie capacità. Lungi da me, come posso dire, il pensiero anche in quel momento di poter diventare ciò che sono oggi, cioè campione olimpico, campione del mondo e quant’altro. […] Ero convinto di poter arrivare vicino ai più forti atleti della categoria, certo impegnandomi, ma io ero pronto a farlo perché in fondo, se una cosa è davvero una passione, è l’esecuzione del progetto ciò che ti regala gioia, non tanto quel che trovi alla fine, quando vai all’incasso del lavoro svolto nella gara più importante. […] E nel momento in cui ho deciso di applicarmi per provare a diventare qualche cosa di simile a ciò che sono oggi a livello paraciclistico, ero già felice perché stavo già facendo una cosa che per me era una figata pazzesca, ecco!
La maratona di New York. Un amico, manager di un’azienda che all’epoca rappresentavo come testimone, l’ambasciatore del brand, mi dice: «Sai Alessandro, capisco che è un grosso viaggio, un grande impegno per dieci minuti di discorso, però noi organizziamo questo pasta-party il sabato sera della maratona di New York e ci farebbe molto piacere tu facessi un intervento». Ebbene, la mia risposta fu: «Fabio, scherzi? Con grande piacere. Anzi, sai che c’è? Visto che ci sono e che devo venire a New York, quasi quasi la faccio pure la maratona». E lui, che è un maratoneta della prima ora, […] mi dice: «No Alessandro, io te ne ho viste fare tante, ma questa non si può fare, credimi non puoi. Non è possibile. Tecnicamente è impossibile». […] E di lì è nato un po’ tutto, no? Ecco, dopo i primi colpi di pedale in realtà io ero già assolutamente innamorato di questo gesto, ancor più che del mezzo. Perché nel mio caso soprattutto l’handbike è uno sport veramente completo, ogni muscolo che ho è attivo ai fini della propulsione, ai fini della spinta, e quindi è veramente uno sport fantastico, tant’è vero che io mi sono appassionato all’handbike come non avevo nemmeno osato immaginare quando, prima dell’incidente, praticavo il ciclismo nel modo in cui normalmente si fa, cioè con una bicicletta.
E nel momento in cui ho deciso di applicarmi per provare a diventare qualche cosa di simile a ciò che sono oggi a livello paraciclistico, ero già felice perché stavo già facendo una cosa che per me era una figata pazzesca, ecco!Il bicchiere sempre pieno. Io ho un carattere – non so se siano stati i tortellini bolognesi o l’educazione dei miei genitori, che cosa… –, però ho un carattere evidentemente molto positivo, vedo sempre il bicchiere pieno, non mezzo pieno, e quindi è nella mia indole evidentemente concentrarmi su ciò che posso fare ancor più che auto-compiangermi o perder tempo a riflettere sulle cose che non posso più fare. E ciò che posso raccontare, la mia testimonianza, [è] che in fondo, se fai questo esercizio, poi scopri che, anche se hai dei limiti, in realtà non basta il tempo per fare comunque tutte le cose che restano un po’ nel tuo mazzo di carte e quindi devi fare delle scelte, devi scegliere quella più appassionante, quella più bella. Non è logicamente una critica nei confronti di chi non è riuscito a far questo, perché purtroppo ci sono anche queste persone, però mi piace anche raccontare che Zanardi è solo un uomo molto esposto, in realtà [le] persone come Zanardi sono la maggioranza di coloro che nella vita si devono riorganizzare per affrontare il tutto in modo alternativo. I ragazzi, i miei compagni della Nazionale italiana paraciclistica, hanno delle storie meravigliose da raccontare, storie personali, fatte spesso di ostacoli grandi come montagne, ormai superati, e gioia di vivere, ecco.
Anche se hai dei limiti, in realtà non basta il tempo per fare comunque tutte le cose che restano nel tuo mazzo di carte e quindi devi fare delle scelte, devi scegliere quella più appassionante, quella più bella
Le Paralimiadi di Londra. Londra è stata una esperienza magnifica, fantastica, che si è conclusa nel migliore dei modi con Zanardi che alza la sua handbike con una mano sola. Una foto non per nulla pensata, no, scusa, un gesto fotografato e per nulla pensato, ma estremamente efficace, perché io il giorno dopo presi in mano una copia del giornale, che credo fosse il Times, che aveva questa foto enorme in prima pagina e ne fui immediatamente colpito perché, non fossi stato io il soggetto ritratto, avrei detto: «È bellissima ’sta foto, foto più bella non potevano scegliere, perché è molto rappresentativa». […] Quindi essere stato il protagonista, anche se in modo involontario, di un gesto che ha lasciato chiaramente il segno, non tanto per quello che rappresentava tecnicamente e sportivamente parlando, ma in modo più ampio secondo me come espressione del sentimento paralimpico che a Londra è stato diverso, soprattutto nella percezione di chi ci ha guardato. Ecco, credo che lo sport paralimpico sia stato definitivamente sdoganato a Londra. Ed essere diventato in qualche modo uno, non l’emblema attenzione, perché ci sono state imprese meravigliose che devono essere raccontate e che molti già conoscono bene perché sono state imprese fantastiche… Eppure essere stato uno degli emblemi di quella Paralimpiade è una cosa che resterà per sempre parcheggiata nel mio cuore.
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