nuoto corsa giavellotto tennistavolo

Silvana Martino Roma, classe 1938

Divenuta paraplegica per via di un bombardamento aereo in un rifugio durante la seconda guerra mondiale, inizia l’attività sportiva con l’Onig (Organizzazione nazionale invalidi di guerra), praticando nuoto, atletica e tennis tavolo. Partecipa alle Paralimpiadi di Tokio ’64, Tel Aviv ’68, Arnhem ’80, conquistando due argenti e un bronzo

Divenuta paraplegica per via di un bombardamento aereo in un rifugio durante la seconda guerra mondiale, inizia l’attività sportiva con l’Onig (Organizzazione nazionale invalidi di guerra), praticando nuoto, atletica e tennis tavolo. Partecipa alle Paralimpiadi di Tokio ’64, Tel Aviv ’68, Arnhem ’80, conquistando due argenti e un bronzo

Sono Silvana Martino, sono nata il 27 febbraio 1938. Quando è stato il periodo della guerra ci siamo spostati da Roma in un paesino delle Marche, perché a Roma abitavamo vicino alla stazione Termini e quel posto era un po’ pericoloso per la guerra. Allora per cercare riparo siamo andati nelle Marche. […] Poi un giorno, durante un bombardamento, siamo scappati al rifugio. Al rifugio, appena entrati, lo spostamento d’aria delle bombe ha aperto la porta e sono entrate tutte le bombe, le schegge del cannoneggiamento. Per cui sono rimasta ferita io [e] ci sono stati 15 feriti e due morti. Io sono rimasta ferita tra i più gravi, sono rimasta ferita alla colonna vertebrale tra la quarta e quinta vertebra dorsale e sono diventata paraplegica. Poi sono rimasta lì che c’era un medico – questa era una cantina, il rifugio dove eravamo ricoverati –, che ha prestato i primi soccorsi e siamo rimasti una settimana circa in questa cantina e c’era questo medico che ha cercato di fare del suo meglio per curare tutti questi feriti che c’erano lì dentro.

La riabilitazione. Poi finalmente hanno pensato di mandarmi a Fabriano, dove mandavano tutti i feriti più gravi; lì a Fabriano sono stata ricoverata in un ospedale, che era stato adibito a ospedale ma era una scuola […]. Io sono stata operata alla spina dorsale per cercare le schegge, sono stata curata senza radiografie e senza anestesia, da sveglia proprio. Mi ricordo, quel periodo è stato un periodo bruttissimo per me perché ho sentito tanto dolore. […] Poi bene o male sono sopravvissuta, anche se i medici mi avevo dato per spacciata. Finalmente siamo tornati a Roma con una camionetta, sono venuti mio padre e mio zio da Roma […] e ci hanno portato a Roma. Eravamo io, mia madre e le mie due sorelle, sono rimaste ferite pure le mie due sorelle, però in maniera leggera. Siamo tornati a Roma e sono stata ricoverata al Policlinico e lì mi hanno ingessato e poi hanno cercato di fare una riabilitazione nelle loro possibilità […]. Mi hanno rimessa seduta, poi dopo un anno sono tornata a casa. Da allora ho vissuto sempre a casa e mi sono quasi riabilitata da sola, perché non c’erano strutture, non c’era un posto dove potevo andare per riabilitarmi. Per cui tutto quello che ho fatto, l’ho fatto da sola.

Tutto da sola. Io stavo a letto praticamente, ero sempre a letto, non stavo neanche seduta, e quindi piano piano mi sono messa seduta, piano piano ho cominciato a muovermi per casa con una sedia perché non c’erano ancora le carrozzine e mi muovevo con una sedia spostandomi, ballando da una zampa all’altra, e mi muovevo per tutta casa. Poi mi sono riabilitata come tronco, perché facevo tutto da sola, praticamente, e poi quando ho avuto la carrozzina è stato per me il momento più bello, perché con quella mi potevo muovere senza difficoltà e sono arrivata quasi a una riabilitazione completa, perché facevo tutto da sola. Mia madre non mi aiutava quasi mai, perché c’aveva sempre da fare, io la chiamavo [ma] lei c’aveva da fare, e quando poi lei era libera che poteva venire da me, io avevo già fatto da sola.

La squadra dei paraplegici di guerra. Ho imparato a leggere e a scrivere con le mie sorelle, perché giocavamo alle maestre e loro mi insegnavano e io già sapevo leggere e scrivere. Poi abbiamo chiamato insegnanti da fuori, […] ho saltato molte classi, perché facevo direttamente gli esami e così sono riuscita a fare la terza media. Poi dopo, finita la terza media, nel frattempo avevo iniziato a studiare il pianoforte, ho continuato il pianoforte. Poi qualche volta, sentendo da varie parti che c’era la possibilità di andare per fare un po’ di fisioterapia, sono andata a Firenze da Scaglietti e lì sono stata ricoverata. Andavo saltuariamente e mi hanno rimesso in piedi con le docce di gesso. Facevo piscina, facevo sport – no sport, perché ancora non si parlava di sport –, però facevo riabilitazione, ginnastica e tutto il resto. […] Poi finalmente nel 1960 l’Onig, l’Opera nazionale invalidi di guerra, mi ha comunicato che c’era un centro, che si stava aprendo un centro di riabilitazione per paraplegici di guerra all’Oasi, a via Ardeatina, attuale Santa Lucia. Queste erano due palazzine di una trentina di camere ciascuna, era solo per gli invalidi di guerra. Andavamo lì con l’accompagno, era residenziale, stavamo un po’ di mesi, qualche mese così, per fare riabilitazione. Poi i nostri dirigenti avevano sentito parlare dello sport per i disabili e […] abbiamo cominciato anche noi. Da lì è nata la storia della squadra dei paraplegici di guerra.

Pensare di dover fare sport per me è stata una conquista, una grande conquista, e veramente ho ritrovato la gioia di vivere nello sportSport come gioia di vivere. Il primo anno non ho fatto attività sportiva, perché i miei superiori, i miei medici, non hanno ritenuto opportuno, pensavano che fosse una cosa troppo pesante per me. Poi invece l’anno dopo ho cominciato a fare attività sportiva e qualche cosa riuscivo a farla anche io. E poi soprattutto il nuoto mi piaceva perché in acqua mi sentivo bene, mi muovevo come volevo e per me il nuoto è stato uno sport che mi ha fatto veramente bene, anche perché potevo fare tutti i movimenti che volevo in acqua. Quindi pensare di dover fare sport per me è stata una conquista, una grande conquista, e veramente ho ritrovato la gioia di vivere nello sport. 

Le medaglie più belle. Le medaglie più importanti sono state – non è che ne ho vinte tante – però a Tokyo ho vinto una medaglia d’argento nel tennistavolo doppio e poi una medaglia di nuoto, terzo posto al nuoto. Poi in Israele ho vinto un’altra medaglia d’argento nel giavellotto di precisione. L’ho sentita molto perché ho fatto un punteggio molto alto, che di solito con quel punteggio si vinceva la medaglia d’oro, e infatti la collega che mi ha battuto aveva fatto 76 punti. Un bel punteggio, però raramente si facevano quei punteggi lì, e quindi per me quella è stata la medaglia d’oro, quella di 68 punti.

Prefiggersi degli obiettivi. Il periodo che sono stata senza fare attività sportiva mi sono dedicata allo studio, ho ripreso gli studi in mano e mi sono laureata. E quindi era un obiettivo che volevo raggiungere e sono riuscita a raggiungerlo. Poi ho ripreso a fare sport e sono riuscita a raggiungere certi obiettivi, come ad esempio dei campionati europei, ho vinto diverse medaglie, ai campionati europei di Vienna. Ho fatto dei record mondiali anche, e quindi sono tutti obiettivi che mi prefiggevo volta per volta.

Sono stati gli anni più belli perché per me è stata tutta una scoperta. Sono uscita da casa la prima volta, perché io prima stavo sempre a casa, ogni tanto andavo a Firenze per fare un po’ di fisioterapia

Gli anni più belli. Sono stati gli anni più belli, perché per me è stata tutta una scoperta. Sono uscita da casa la prima volta, perché io prima stavo sempre a casa, ogni tanto andavo a Firenze per fare un po’ di fisioterapia, però stavo lì qualche mese e poi rientravo a Roma. Però da sola non ero stata mai come il periodo dell’Oasi. Io andavo all’Oasi, poi potevo venire a casa il sabato e la domenica, mi sentivo più libera. C’era tanta gioia di fare sport, c’era unione fra noi, c’era competizione, però quella sana competizione, non l’agonismo esasperato. Poi c’era tanto spirito di socializzazione, infatti quando andavamo fuori facevamo amicizia con tutte le altre squadre anche se con la lingua non ci trovavamo, però l’amicizia la facevamo lo stesso con le altre Nazioni, con tutte le persone che facevano parte delle altre squadre, delle altre Nazioni.

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Martino
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Stoke Mandeville
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Il medagliere

  • 1964 Paralimpiadi di Tokyo Tennistavolo - Doppio B femminile
  • 1968 Paralimpiadi di Tel Aviv Atletica - Giavellotto open femminile (precisione)
  • 1964 Paralimpiadi di Tokyo Nuoto - 25m stile libero Supino classe 2 complete