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Antonio Arizzi Monforte San Giorgio (Messina), classe 1941

Vittima di un infortunio sul lavoro in fabbrica, arriva al CPO all’età di 21 anni. Pratica atletica leggera, nuoto, scherma e pallacanestro. Nel 1968 partecipa alle Paralimpiadi di Tel Aviv, da cui riporta a casa due bronzi

Vittima di un infortunio sul lavoro in fabbrica, arriva al CPO all’età di 21 anni. Pratica atletica leggera, nuoto, scherma e pallacanestro. Nel 1968 partecipa alle Paralimpiadi di Tel Aviv, da cui riporta a casa due bronzi

Ho conosciuto mio marito nel 1970 al CPO. Io lavoravo come infermiera, ero appena entrata, e lui ritornava da Saint’Etienne. La mattina mi ha visto lì e siccome mi aveva già vista un po’ per Ostia, ormai ci conosciamo un po’ tutti, mi ha detto: «Tu che fai qua?». Io non lo conoscevo, però, e ho detto: «Faccio l’infermiera». Dice: «Ah, vabbè». Poi durante il giorno l’ho rivisto e il giorno dopo dice: «Andiamo a fare una passeggiata?». Ho detto: «Va bene». Siamo andati a fare questa passeggiata e insomma è cominciato lì.

Quando aveva 21 anni lavorava in Sicilia in una ditta di mattoni, perché lì in paese non c’era altro. A un certo punto è voluto andare in Alta Italia perché aveva il fratello e lì si è fatto male, in una ditta sempre di mattoni: un carrello gli è andato contro e quindi ha questa lesione lombosacrale

L’incidente. Quando aveva 21 anni lavorava in Sicilia in una ditta di mattoni, perché lì in paese non c’era altro. A un certo punto è voluto andare in Alta Italia, perché aveva il fratello, e lì si è fatto male, in una ditta sempre di mattoni: un carrello gli è andato contro e quindi ha questa lesione lombosacrale. E da lì non so quanti mesi è stato a Torino e l’hanno mandato al CPO di Ostia, dove gli hanno curato le piaghe, ché si era fatto parecchie piaghe. Poi ha cominciato a fare lo sport, quindi a 21 anni, 22 anni, ha cominciato. Con l’Inail andava bene.

Il lavoro di Maria. Io avevo avuto pure una chiamata al Policlinico di Roma, però poi ho rinunciato a quella e sono rimasta con loro. Perché mi facevano pena, insomma, come stavano tutti questi ragazzi, specialmente i “cervicali”, e sono voluta rimanere così. Anzi, quando l’Inail è andato via mi ha detto se io volevo andare con loro e ho rinunciato pure a quello.

Il Centro Paraplegici. Funzionava, funzionava bene. Poi ogni anno gli sportivi andavano a casa, ritornavano, stavano lì tutta l’estate, andavano all’estero, facevano le gare e poi ritornavano a casa. Dunque funzionava tutto bene. […] Andavano in palestra, facevano tante ore, mentre adesso non si fa quasi niente.

Antonio e Maria. Lui doveva sempre fare qualcosa, anche in casa, tirava fuori tutto. Poi ci vedeva poco, allora mi chiamava: «Guarda qua, guarda questo, guarda quello». Io mi stufavo di tutte quelle carte!

Ostia senza barriere. Tanti paraplegici da paesi fuori Roma sono venuti proprio a stabilirsi qua perché è una città tutta piana, buona per loro insomma. Lui scherzava con tutti, aiutava pure, qualche volta quando qualcuno chiedeva qualcosa, «Sai, non so come fare», così… Allora aiutava.

L’adozione. Nell’80 sono andata in Ecuador, a Quito. Insieme siamo andati e abbiamo adottato una bambina. Però mentre eravamo lì si sono chiuse le adozioni e sono rimasta con questa bambina e lui è ritornato a casa, perché spesso aveva infezioni vescicali e in quel Paese lì non si poteva curare. Dopo dieci mesi siamo ritornati e la figlia aveva due anni. L’avevo presa a un anno e mezzo, aveva due anni e qualcosa. Poi ho cominciato… Sono stata tre mesi a casa come di solito quando nasce un bambino e poi sono ritornata a lavorare e mio marito l’accompagnava all’asilo, la riprendeva. Così è cominciata la vita in tre. Poi adesso quest’anno si è sposata e ha un bambino di otto mesi.

Le medaglie. Quando tornava dall’estero eravamo contenti, però non è che gli chiedevo: «Quante medaglie hai vinto?», perché pensavo di offendere la persona, perché magari aveva vinto poco, non gli chiedevo niente. Quello che portava, portava. Dopo quando non si sono più allenati lì al CPO si allenavano all’Ascip, andavano su qualche campo di Roma a fare pallacanestro. Però io non li seguivo.

Come una famiglia. Non c’era tanta divisione tra infermiere e portantino, ci aiutavamo tutti, mentre adesso ognuno ha i suoi compiti. Ci aiutavamo come una famiglia, non guardavamo ai compiti che avevamo assegnati.

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Il medagliere

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